
Dopo lo sbarco, Cesare lasciò Quintus Atrius a capo della testa di ponte e fece un'immediata marcia notturna per 12 miglia (19 km) nell'entroterra, dove incontrò le forze britanniche ad un attraversamento del fiume, probabilmente da qualche parte sul fiume Stour. I britannici attaccarono ma furono respinti e tentarono di riorganizzarsi in un luogo fortificato nelle foreste, forse la fortezza collinare di Bigbury Wood, nel Kent, ma furono nuovamente sconfitti e dispersi. Poiché era ormai tardi e Cesare non era sicuro del territorio, interruppe l'inseguimento e si accampò.
Tuttavia, la mattina successiva, mentre si preparava ad avanzare ulteriormente, Cesare ricevette la notizia da Atrio che, ancora una volta, le sue navi all'ancora si erano scontrate l'una contro l'altra durante una tempesta e avevano subito notevoli danni. Una quarantina, dice, furono perdute. I romani non erano abituati alle maree e alle tempeste dell'Atlantico e della Manica, ma tuttavia, considerando il danno che aveva subito l'anno precedente, si trattava di una cattiva pianificazione da parte di Cesare. Tuttavia, Cesare potrebbe aver esagerato il numero di navi naufragate per amplificare i propri risultati nel salvare la situazione. Tornò sulla costa, richiamando le legioni che erano andate avanti, e subito si mise a riparare la sua flotta. I suoi uomini lavorarono giorno e notte per circa dieci giorni, arenando e riparando le navi e costruendo attorno ad esse un accampamento fortificato. Fu mandato ordine a Labieno di inviare altre navi.
Cesare si trovava sulla costa il 1° settembre, da dove scrisse una lettera a Cicerone. A Cesare dovette a questo punto essere giunta la notizia della morte della figlia Giulia, poiché Cicerone si astenne dal rispondere "a causa del lutto".